Avete mai letto il libro di Fabio Volo "Il giorno in più"? Non è il migliore, ma scorre veloce, e come in ogni suo libro ti dà parecchio da pensare. Volo ha la capacità di cogliere quelle piccolezze insignificanti che fanno sentire una persona unica e diversa da tutte le altre, la spoglia di questa sua unicità, e le fa capire che ognuno ha le sue, di piccolezze, che a conti fatti non sono poi così diverse le une dalle altre.
Quando ho letto per la prima volta "Il mio posto nel mondo", mi è venuto naturale regalarlo alla persona a cui il libro mi aveva fatto pensare, la persona con cui avevo condiviso gli stessi argomenti affrontati nelle sue pagine, la persona che non ama leggere, e non ha l'abitudine a farlo. La mattina dopo, aveva finito il libro, e me ne aveva fatta una recensione così bella che tutte le chiacchiere che solitamente riempiono la mia bocca si erano arrestate incantate, per ascoltare. Ero stata contentissima che gli fosse piaciuto.
Tempo fa ho letto l'ultimo libro uscito, e di nuovo ho pensato a lui. Ora, i casi sono due: o Volo ha un rapporto diretto inter mentale col gaijin e non lo sa, oppure io ho un pensiero fisso, ma vi assicuro che, obiettivamente parlando, non è così. Però... beh ecco, il libro descrive una situazione in cui probabilmente noi ci verremo a trovare, per scelta e non, per cui mi è venuto naturale questo collegamento.
Il fatto è che, nei nostri mille discorsi sui perchè della vita e su cosa desideriamo per la nostra, ci siamo presto accorti di ciò in cui incappi spesso e volentieri la maggior parte delle persone, di cui noi facciamo parte. Perché così tante storie finiscono? Perchè tutto all'inizio sembra perfetto, ma poi inevitabilmente finisce, e spesso lascia persino un brutto ricordo? Lui sostiene che sia perché si ha l'abitudine di giocare a marito e moglie, di essere schiavi delle convenzioni che vogliono che se si è una coppia ci si cerchi tutti i giorni e ci si veda spesso, e così via; io sono d'accordo, e aggiungo il fatto che l'abitudine porti a dare per scontato ciò che invece non lo è , finendo poi per perderlo. Dopo queste considerazioni, lui se ne è venuto fuori con un'idea a mio dire piuttosto bislacca: uno stare insieme vedendosi poco, in modo da essere certi che quando lo si fa sia perché se ne ha voglia davvero, in modo da arricchire la propia vita con la presenza dell'altro, senza che ciò ci assorba completamente e senza che, per questo, noi ci possiamo dimenticare di noi stessi. Tutte belle idee ma... nella mia gran praticità, mi è venuto da chiedermi: tra il dire e il fare... c'è di mezzo mezzo mondo!Voglio dire... per natura siamo portati a cercare il nostro benessere, no? Quindi se stare con una persona ci fa stare bene, e lo stesso vale per lei, allora cerchiamo di vederla ogni volta che è possibile. E quindi... ?
Heidegger diceva che l'unico modo autentico di vivere è il vivere per la morte. Questo, sebbene possa sembrarlo, non è affatto un invito al suicidio, ma un ricordare che prima o poi, e quando non si può sapere, la vita finirà. Se noi la viviamo tenendolo a mente, allora possiamo goderne appieno. Pensateci: tutte le cose che finiscono acquisiscono un valore maggiore... la vacanze estive, ad esempio. Perché ci sembrano così fantastiche? Perché sappiamo già da subito che finiranno dopo tre mesi.
Ecco, secondo me Fabio Volo ha letto Heidegger, o ha pensato le stesse cose. Anche una storia tra due persone rischia di diventare ordinaria e scontata se non si prende in considerazione l'ipotesi della sua fine. Io e il gaijin abbiamo del tempo a disposizione... poco tempo, per le scelte che abbiamo fatto della nostre vite, che ci porteranno lontano. Ma vivere questi mesi sapendo che poi tutto finirà potrà regalarci qualcosa di grande, e soprattutto di vero. Qualcosa per cui varrà la pena di soffrire nel momento in cui tutto finirà. E, Dio, so bene quanto soffrirò. E forse è proprio questo che mi impedisce di imparare a vivere così, come lui sa già fare. Voglio impegnarmici, perchè tra tutte le cose, questa è una di quelle che non si possono scartare, una delle cose - forse la più- autentiche che mi siano mai capitate nella vita. So... let's live our life.
Quando ho letto per la prima volta "Il mio posto nel mondo", mi è venuto naturale regalarlo alla persona a cui il libro mi aveva fatto pensare, la persona con cui avevo condiviso gli stessi argomenti affrontati nelle sue pagine, la persona che non ama leggere, e non ha l'abitudine a farlo. La mattina dopo, aveva finito il libro, e me ne aveva fatta una recensione così bella che tutte le chiacchiere che solitamente riempiono la mia bocca si erano arrestate incantate, per ascoltare. Ero stata contentissima che gli fosse piaciuto.
Tempo fa ho letto l'ultimo libro uscito, e di nuovo ho pensato a lui. Ora, i casi sono due: o Volo ha un rapporto diretto inter mentale col gaijin e non lo sa, oppure io ho un pensiero fisso, ma vi assicuro che, obiettivamente parlando, non è così. Però... beh ecco, il libro descrive una situazione in cui probabilmente noi ci verremo a trovare, per scelta e non, per cui mi è venuto naturale questo collegamento.
Il fatto è che, nei nostri mille discorsi sui perchè della vita e su cosa desideriamo per la nostra, ci siamo presto accorti di ciò in cui incappi spesso e volentieri la maggior parte delle persone, di cui noi facciamo parte. Perché così tante storie finiscono? Perchè tutto all'inizio sembra perfetto, ma poi inevitabilmente finisce, e spesso lascia persino un brutto ricordo? Lui sostiene che sia perché si ha l'abitudine di giocare a marito e moglie, di essere schiavi delle convenzioni che vogliono che se si è una coppia ci si cerchi tutti i giorni e ci si veda spesso, e così via; io sono d'accordo, e aggiungo il fatto che l'abitudine porti a dare per scontato ciò che invece non lo è , finendo poi per perderlo. Dopo queste considerazioni, lui se ne è venuto fuori con un'idea a mio dire piuttosto bislacca: uno stare insieme vedendosi poco, in modo da essere certi che quando lo si fa sia perché se ne ha voglia davvero, in modo da arricchire la propia vita con la presenza dell'altro, senza che ciò ci assorba completamente e senza che, per questo, noi ci possiamo dimenticare di noi stessi. Tutte belle idee ma... nella mia gran praticità, mi è venuto da chiedermi: tra il dire e il fare... c'è di mezzo mezzo mondo!Voglio dire... per natura siamo portati a cercare il nostro benessere, no? Quindi se stare con una persona ci fa stare bene, e lo stesso vale per lei, allora cerchiamo di vederla ogni volta che è possibile. E quindi... ?
Heidegger diceva che l'unico modo autentico di vivere è il vivere per la morte. Questo, sebbene possa sembrarlo, non è affatto un invito al suicidio, ma un ricordare che prima o poi, e quando non si può sapere, la vita finirà. Se noi la viviamo tenendolo a mente, allora possiamo goderne appieno. Pensateci: tutte le cose che finiscono acquisiscono un valore maggiore... la vacanze estive, ad esempio. Perché ci sembrano così fantastiche? Perché sappiamo già da subito che finiranno dopo tre mesi.
Ecco, secondo me Fabio Volo ha letto Heidegger, o ha pensato le stesse cose. Anche una storia tra due persone rischia di diventare ordinaria e scontata se non si prende in considerazione l'ipotesi della sua fine. Io e il gaijin abbiamo del tempo a disposizione... poco tempo, per le scelte che abbiamo fatto della nostre vite, che ci porteranno lontano. Ma vivere questi mesi sapendo che poi tutto finirà potrà regalarci qualcosa di grande, e soprattutto di vero. Qualcosa per cui varrà la pena di soffrire nel momento in cui tutto finirà. E, Dio, so bene quanto soffrirò. E forse è proprio questo che mi impedisce di imparare a vivere così, come lui sa già fare. Voglio impegnarmici, perchè tra tutte le cose, questa è una di quelle che non si possono scartare, una delle cose - forse la più- autentiche che mi siano mai capitate nella vita. So... let's live our life.